domenica 24 aprile 2016



UNA EST PATRIA COMMUNIS (2010)

Autori: E. Di Vito- G. Fillich      Grafica: M. Grazia Battistini

ANPI - Comitato provinciale di Ascoli Piceno


VOCI   DI   LIBERTA'
 
 Le vicende e le testimonianze sui fatti della Resistenza nel Piceno hanno suscitato le mie riflessioni su alcuni aspetti economici e sociali del fascismo, specie quelli riguardanti " il periodo del consenso "( 1929-1936). I risultati vogliono rappresentare uno stimolo alla ricerca e all' approfondimento di quelle situazioni che, a mio avviso, hanno avuto un peso nello sviluppo e svolgimento delle vicende della Liberazione in Italia e nei nostri paesi nel '41 e '44. Ciò che mi muove non è certamente la "voglia di revisionismo"; l' obiettivo è quello di allargare per quanto possibile la visuale su un fenomeno, La Resistenza, che si presenta nelle sue molteplici espressioni ( etiche, politiche, economiche, militati, culturali), non separabili l' una dall' altra, convinto, come sostiene G. Bocca, che: "[... la minoranza del settembre è l' avanguardia di una Resistenza che ha radici profonde e lontane; nelle fabbriche, nei campi, nelle università, nelle prigioni, tra i fuoriusciti, dentro l' esercito fascista, dentro il fascismo, energie spesso ignote le une alle altre, ma complementari, figlie della stessa volontà di sopravvivere, di non cedere"( G. Bocca- Storia d' Italia partigiana- Laterza). Il risultato, comunque lo si consegua, realizza la sottolineatura di quel diritto sacro ed irrinunciabile che si chiama " libertà", per il rispetto del quale vale la pena di sacrificarsi ed anche di morire. Di alto profilo il comportamento di Marcello Marini, uno dei tanti partigiani mandati a morte, arrestato il 30 aprile del '44 nelle vicinanze delle Piane di Falerone e fucilato il 1° maggio: " Agli uomini del plotone di esecuzione che chiedevano a lui quale fosse il suo ultimo desiderio, rispondeva: ' una sigaretta!'. Inaspriti da simile risposta e meravigliati da tanta audacia, gli aguzzini gli volevano imporre di voltare le spalle, ma egli gridava loro:' No ! La fucilazione alle spalle appartiene ai traditori; io muoio per una fede purissima, il mio sacrificio non sarà inutile. Voglio soltanto che mio padre, mia madre, i miei fratelli e i miei compagni di guerriglia sappiano che io sono morto facendo il mio dovere [...]". ( Relazione di Rani D' Ancal, comandante del Raggruppamento " Decio Filipponi", Massa Fermana).
La Resistenza ha rappresentato proprio questa esigenza.
Da annotare, al riguardo, le affermazioni del col. Paolo Petroni ( GE.28), comandante militare dell' 87° Settore Adriatico ( Provincia di Ascoli) nell' ottobre 1943: " Giovani e no, uomini e donne presero le armi; essi non possedevano i grandi trimotori, i grandi carri, i cannoni poderosi, i sofisticati armamenti dell' ultima ora, erano armati soltanto dell' amore della Patria e da un grande ideale e la maggior parte da un semplice moschetto '91. Così come erano, senza perdere un giorno, un' ora soltanto, aiutarono nella fuga persone di altre terre, di altre fedi, di diverse lingue, i prigionieri di guerra, e tutti sostennero con grazia offrendo il pane che spesso scarseggiava per tutti. Non temettero delle offese della guerra, subirono  a fronte alta le vendette brutali di un avversario implacabile, costituirono una forza combattiva, un reale ostacolo alle operazioni belliche del nemico. Lasciando da parte le grosse parole mi era giusto e doveroso concludere che quegli uomini e quelle donne con i quali mi ero ritrovato avevano ciascuno a suo modo contribuito alla disfatta del nemico, alla vittoria comune, alla liberazione della Patria e all' onore della Resistenza del popolo italiano"( " Ricordi di GE.28).


RICORRENZE CELEBRATIVE DEL 25 APRILE

Le ricorrenze celebrative della Resistenza ci hanno abituato ormai ai consueti stereotipi: omaggi ai grandi della Resistenza e ai caduti, la deposizione di corone presso i cippi commemorativi. Con il solito codazzo di polemiche e contestazioni. Poi, esaurito il cerimoniale, scende un totale silenzio sull' avvenimento. Se ne riparlerà il prossimo anno, sperando che qualcuno nel frattempo non abbia cancellato la ricorrenza della Memoria. Questa pubblicazione dal titolo provocatorio, una est patria communis, espressione latina di Cicerone( facilmente traducibile), vuole riscaldare gli animi e fare ' partorire' le menti. Innanzitutto vuole ricordare che la Resistenza , come ammoniva Joyce Lussu: " bisognava continuare a farla, nei nuovi spazi costituzionali che ci eravamo conquistati, senza fare finta che il fascismo fosse stato debellato". Soprattutto  intende rilevare che le vicende della Resistenza rappresentano l' esaltazione e la ' vittoria' anche degli ultimi., degli 'umili cafoni' della nostra terra, una terra di mezzadri e braccianti agricoli di campagna e di montagna, quelli che la storiografia più accreditata bolla come ' analfabeti' e ' incapaci di intendere'. Un' affermazione, questa, a dire poco superficiale, frutto di una visione selettiva e di parte. Le carte documentarie relative ai fatti del Piceno, infatti, dicono esattamente il contrario. Tante le donne e gli uomini, il cosiddetto contadiname, accanto agli uomini d' armi, ai primi partigiani del '43, spesso trucidati solo per avere ' approvvigionato' i fuorilegge, i banditi. Ideologicamente impreparati ma spontaneamente schierati per difendere se stessi, la roba, come dice G. Bocca in ' Storia dell' Italia Partigiana', i sacri valori familiari e per ridare un senso immediato alla parola' patria'. Stati d' animo certamente confusi, ma genuini e istintivi da sempre, pronti all' occorrenza a trasformarsi in atteggiamenti di autentica ribellione e rifiuto di qualsiasi coercizione. Un contadino ingenuo che , uscito disperato e affamato dalla grande guerra, aveva creduto nel nuovo, nel fascismo che aveva promesso a tutti, con il programma dei Fasci del' 19, un avvenire migliore. Eccolo pronto a rispondere ai proclami della battaglia del grano nel 1925, agli appelli per la bonifica delle aree paludose, all'ambizioso progetto della ruralizzazione. Poi, attivo per l' incremento della nascite, la conduzione delle guerre, la proclamazione dell' impero nel 1936, sicuro della sconfitta del nemico ( quale?). Sempre obbediente e, purtroppo, sempre perdente. Dove sono le sconfitte del nemico, dove le terre promesse da coltivare? Dove e quando un avvenire migliore? Gli interrogativi ben presto diventano mugugni; la conclusione  è una sola: questa è una patria che pretende sudore, sangue e... figli. E non è finita, perché, è noto, le guerre costano, sono dispendiose; se durano a lungo provocano le requisizioni dei beni e, purtroppo, la fame. Spunta, inesorabile, quella maledetta legge del giugno 1936 che obbliga tutti i possidenti a provvedere agli ammassi granari; segue la famigerata tassa del pane, la carta annonaria. Esulta il mercato nero. Un insieme di provvedimenti inutili, rivelatori di miopia politica. Con un epilogo finale: la sconfitta militare e politica del fascismo nelle terre di Russia e la disastrosa ritirata di quello che era rimasto dell' ARMIR. Lo spettacolo è sempre lo stesso: sono soprattutto i contadini- soldato  a dover pagare morendo sul campo di battaglia per freddo, fame e per tifo. Sperano ancora. Occorre che in patria qualcuno dia un segnale di rivincita, sono decisi a ribadire la istintiva genuinità dei valori di chi è abituato a lavorare  duramente per dissodare la terra, simbolo di vita. Cafoni sì, ma di nobili sentimenti, che neppure gli spioni, i pochi delatori riusciranno a scalfire. Risponderanno pertanto con coraggio, nelle campagne, nelle montagne, nelle chiese, ovunque sarà necessario, con le poche armi a disposizione e tanta forza di abnegazione, a quanti, uomini d' armi e comandanti di Bande, saranno disponibili, dopo l'8 settembre, a guidarli in quella nobile azione di ricostituzione del senso vero della patria e del ristabilimento delle libertà. Un' avventura condotta insieme per ribadire che : Una est patria communis!.

G. FILLICH


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